Cogliere la non direzionalità dell’arte: la verità delle immagini sta nella loro obliquità, non nel loro semplice porsi di fronte a noi – la pittura come amorfismo.
Dipingere non è un esercizio tra gli altri; come lo scrivere, esso pone in essere la fragranza, la fascinazione di un gesto che, compiuto in se stesso scorre poi nei mille rivoli della significazione. Atto solipsistico per eccellenza , il gesto artistico istituisce pire- paradossalmente – la comunicazione.
In quel parlare d’altro, in quell’inutilità dell’arte si coglie l’irriducibilità dell’agire comunicativo, la non – fissità dei gesti quotidiani che, pure, come le opere, stanno lì a fissarci ogni giorno.
L’Arte è la metafora più propria del quotidiano: insipiente del fondamento ultimo, la vita quotidiana si scontra solo con delle superfici. La superficie bianca – spazio ritagliato dallo – nello spazio – è contaminata dal colore: “temenos” violato, lo spazio pittorico richiama la profanità del quotidiano, che però riceve la sua consacrazione dalla ripetizione; come il lavoro religioso il lavoro artistico opera nell’identità di una gestualità che, per miracolo, genera la diversità – l’opera.
Un’attitudine quasi mistica: l’artista sperimenta il rapporto con l’essenza, di volta in volta alla ricerca dell’espressione più propria da dare al suo sentire, familiare con ciò che ancora non esiste: qui si parla dell’arte come evento. Non è questione di “techne”e di “episteme” non solo, almeno: “ cosa leggera infatti è il poeta, alata e sacra” (Platone, Ione, 534 B).
Non come l’oracolo o il profeta , che parlano al posto di qualcun altro, l’artista parla da se stesso e contempla una realtà sfuggevole e vaga, dentro di lui e fuori di lui.
Ora la logica formale è esercitata più dalle macchine che dagli uomini; sembra che l’analogia possa prendersi la sua rivincita. Mediatore di questo nuovo approccio alla realtà, l’artista fruga attraverso i colori e le forme del simbolo, una presenza che cerca continuamente la sua collocazione.
Multiforme come l’acqua, il simbolo continua ad interrogarci.
Giovanni Leghissa
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