‘Te la restituisco, Paolo’. Ho telefonato a malincuore al mio amico pittore per dirgli questa strana cosa. Una delle due opere che avevo personalmente scelto per portare la forza dei suoi dipinti nel luogo di vita in cui passo la notte e il giorno, mi aveva provocato con il suo essere lì, davanti a me. Mi aveva fatto capire che anche un corpo dipinto, bidimensionale e, a detta di tutti, inanimato, può essere una presenza.Il buio della notte. Ecco cos’era quel corpo nero, spesso di pittura e di sé, quasi in procinto di lasciare il mondo piatto della tela per sporgersi in quell’universo tridimensionale da sempre a lui negato. E non siamo noi forse un po’ come lui, esseri dipinti su un quadro mobile che si affaccia su un altrove che possiamo soltanto immaginare o sognare ? Ma lui era lì, mi guardava con la sua faccia nera come il resto, ombra che si è sbarazzata di un corpo che le faceva ombra, finalmente libera di vagare senza peso, molto più opaca del corpo perché in fondo tutta intera, senza interstizi o fessure, anima nera e compatta, messaggera di un altrove.‘Mi abituerò’. Così dicevo. Eppure ogni giorno che passava non potevo fare a meno di guardare e, allo stesso tempo, di distogliere lo sguardo. Lei mi chiamava, ma appena i miei occhi si appoggiavano sul nero, fuggivo. Ah, così si fa ! In casa mia ! Era un affronto. Era una sfida. Lei mi diceva ‘Guardami’, ma io non riuscivo a sostenere lo sguardo. A poco a poco ho capito che per me era una porta vestita di nero, un passaggio, un ponte. Ed ecco lì, infatti, dietro di lei altre ombre, non ancora nere, pesanti, ma di argento vivo, accodarsi all’avanguardia, allo sherpa bidimensionale, stare lì dietro pronte a fare un passo e ad entrare nell’oltre del quadro, nell’oltre della cornice, per dilagare nel mondo dei corpi solidi.‘Hai paura della morte?’. Così mi hai chiesto, Paolo, quando ti ho riportato il ‘dipinto-ombra’. ‘Hai paura della vita, dunque, perché la morte fa parte della vita’, mi hai detto subito dopo. ‘Forse’, ti ho risposto, ‘ho paura della mia Ombra’. Di quella parte oscura di me stesso che non ho ancora pienamente riconosciuto. E’ un lavoro lungo e ha a che fare con le ferite della mia vita passata e con ciò che ancora oggi nella nostra cultura mi fa rabbia: le ingiustizie, l’assenza di felicità, gli sbarramenti alla libertà, la poca attenzione per le emozioni e per l’intelligenza del corpo, lo scarso riconoscimento dell’importanza di dialogare con il proprio lato oscuro. Ora il quadro non c’è più, ma la mia Ombra è rimasta a farmi compagnia.
Paolo Cervi Kervischer © 2008 - Valid: CSS, XHTML 1.0 - Powered by Fucine.IT - Credits